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20 Aprile 2022

Parola di copywriter: “l’ultima cosa che faccio è scrivere.”

Elisa Invernizzi
Elisa Invernizzi Copywriter&Social Media Manager

Articoli CopywritingStrategy
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“Convulso cacciatore di metafore.
Scrittore biodegradabile e quindi riciclabile, pronto a passare dall’esaltazione del doppio brodo a quella dell’assorbente igienico. Attento analista del costume.
Consumista inquieto di prodotti e miti.
Deviante accettato dal sistema.”
- P. Barbella

Piacere, copywriter.

 

Questa parola inglese non è una novità dell’ultimo anno. Esiste da decenni nelle agenzie pubblicitarie e identifica i professionisti che si dedicano alla scrittura per le aziende. Unisce due termini: copy che significa “testo”, e writer “scrittore”. Infatti, il copywriter per tradizione,  è colui, o colei, che sviluppa testi pubblicitari per mezzi di comunicazione di massa.

 

Dunque, è naturale pensare al copywriter come un personaggio chino sulla scrivania per ore intento a scrivere e riscrivere. Questo non è del tutto sbagliato, ma se ti dicessi che è l’ultima cosa che fa? 

 

L’obiettivo del digital copywriting, in particolare, è servirsi della scrittura per convincere il lettore ad eseguire una determinata azione (visitare il sito dell’azienda, acquistare, richiedere preventivi etc.). Tuttavia, per arrivare a questo punto, il percorso è lungo e complesso. Il metodo alla base del copy è, però, riassumibile in tre azioni precise: ascoltare, studiare e scrivere.

Approfondiamole in dettaglio, una alla volta.

ASCOLTARE. E FARSI ASCOLTARE

 

Come Alleati digitali in ascolto, non potevamo partire in altro modo. Infatti, il copywriter deve essere in grado di catturare la voce del tuo brand e i bisogni e i desideri che esprime il pubblico a cui vuoi parlare. 

Ci è stato insegnato dai mangianastri in poi: per catturare una voce e riprodurla, bisogna prima ascoltarla. Ascoltare non è una pratica scontata e nemmeno immediata. Per questo in Creeo Studio seguiamo un metodo rigoroso e analitico:  

  • ti intervistiamo, osserviamo come e dove lavori, raccogliamo informazioni sulla tua impresa, sul tuo progetto, sui tuoi prodotti o servizi;
  • ascoltiamo il tuo pubblico, individuiamo le richieste più frequenti, approfondiamo le abitudini di acquisto e consumo, le aspettative e le necessità.

Perché è necessario tutto ciò? Perché prima di scrivere per “vendere” (o convertire) scriviamo per creare valore. Sia per l’utente sia per il tuo brand.  Cerchiamo di capire cosa ha valore, proviamo a instaurare relazioni di fiducia con le persone, con i lettori. Ci immaginiamo chi sarà raggiunto dalle nostre parole e in quale contesto.

 

Come? Ci vuole empatia, un’abilità da coltivare per imparare a relazionarsi e con-vincere il pubblico a rimanere a leggere fino alla fine. Il copy non ha nulla a che vedere con meccanismi di coercizione o improvvide formule magiche: si basa su una profonda conoscenza dei processi con cui la mente umana agisce, sceglie e ci fa prendere decisioni.

 

La parte visuale aiuta, senza dubbio, a preparare il terreno, ma un testo che funziona crea associazioni uniche. Un copy aiuta a creare connessioni con il lettore. Sfonda la porta emozionale e rimane impresso. Come ci ricorda Ella Marciello: “L’immaginario è l’atto di usare il linguaggio per creare immagini nella mente di chi legge. Immagini che non si verificano sulla pagina nell’atto dello scrivere, ma si compiono nella mente nell’atto del leggere.”1

 

Quindi, seppure la pubblicità provenga da una tradizione di interruzione del palinsesto e di distrazione, oggi è chiamata a ribaltare questa prospettiva, a trovare intuizioni pertinenti ed emozionare

Bisogna anche saper trovare la giusta collocazione del messaggio nel canale più adeguato a non farlo risultare l’ennesimo elemento di disturbo nella vita delle persone. Per questo il copywriter non lavora mai in solitaria, ma è un lavoro di gruppo (con graphic designer, social media manager, strategist etc.) per sviluppare campagne in grado di attrarre, interessare e portare a decidere e ad agire.

STUDIARE. E FARSI CAPIRE.

Un giorno Picasso è seduto su una panchina in un parco. Sta disegnando, quando passa una signora che lo riconosce e lo prega di farle un ritratto. Lui è di buon umore e accetta. Qualche minuto dopo, il ritratto è pronto. La signora è estasiata e chiede quanto gli deve. «5.000 dollari», risponde Picasso. Al che, la signora, indignata, chiede come sia possibile che costi così tanto visto che ci ha messo solo 5 minuti a farlo. Picasso alza lo sguardo e, impassibile, risponde: «No, signora, ci ho messo tutta la vita».2

Il tempo è denaro, lo sappiamo bene. Le urgenze ti spingono spesso a domandare contenuti che devono essere pronti “per ieri”. E perché devi aspettare e addirittura pagare per far scrivere un testo, quando tu hai imparato a scrivere fin dalle scuole elementari?  Il valore aggiunto è proprio da rintracciare nel tempo che impieghiamo a sviluppare un testo per il tuo brand. Niente si improvvisa, nemmeno il copywriting. Per questo, non puoi relegare l’attività di stesura di testi ai ritagli di tempo e, soprattutto, non basta “saper scrivere”.

 

Il copywriter è una vera e propria professione che consiste per il 20% di scrittura e per l’80% di ricerca. La quale, ovviamente, necessita di tempo.  Il tempo dedicato alla ricerca è, infatti, imprescindibile per sapere cosa scrivere e come scriverlo.
 
Durante questo 80% di tempo il copywriter sviluppa il TONO DI VOCE con cui si esprimerà il tuo brand In un contesto attuale in cui siamo ossessionati dal cosa dire piuttosto che dal come dirlo, il come resta fondamentale per far emergere il tuo marchio, acquisire personalità e veicolare concetti complessi o tecnici in poco tempo. 
La definizione del tono di voce è il momento in cui il professionista posa la sua penna e prende in mano quella del tuo brand. Perché al cambiare del copywriter, non può cambiare il tono di voce (a meno che non si intavoli un discorso di rebranding), che viene definito a priori con linee guida precise e rigorose.

Perciò, il copywriter impiega il suo tempo ad affinare competenze specifiche. Quali? Qual è il suo identikit? 

  • Il copywriter svolge un mestiere d'arte3 che si basa su una attività di progettazione/ideazione. Ha per fondamento una complessa tecnica trasmissibile che non consiste in un vademecum standardizzato, ma è fortemente legata all’abilità, alla creatività e alla bravura del copywriter nel trovare combinazioni nuove e utili tra elementi preesistenti.
  • Il copywriter esercita la creatività, esplora prospettive, scenari e collegamenti potenziali. Dedica buona parte della propria giornata a cercare connessioni, a esercitarsi. Sì, come per i giocatori di scacchi, i ballerini o i pianisti, anche nel nostro mestiere esiste la pratica deliberata.
  • Il copywriter non è un insegnante di grammatica italiana, ma scrivere correttamente è d’obbligo. Gli errori scappano, i refusi fuggono, ma l’esperienza e la lettura aiutano.
  • Il copywriter possiede un bagaglio semantico e lessicale ricco. Una cassetta degli attrezzi in grado di trovare le parole con il ritmo più funzionale a sollecitare ricordi e associazioni specifiche.  (Sai cos’è il petricore? Quando sentiamo quel particolare odore di bagnato  dopo che è appena piovuto. Lo stai immaginando?)
  • Non si può più dire nulla!” figuriamoci scrivere!  Il copywriter deve avere una particolare sensibilità a temi come l’inclusività e il rispetto, che passano anche (e soprattutto) dalle parole. Perché il copywriting è il bisogno scritto di una società, in quanto attività fortemente radicata nel presente e altrettanto fortemente slanciata verso il futuro.

È chiamato a lavorare per il superamento di bias cognitivi, per la presa di coscienza di scenari, contesti e tensioni sociali. Per progettare contenuti e campagne non stereotipate e farti evitare errori che il tuo brand potrebbe pagare caro (a partire dallo scrivere l’8 marzo: “Auguri per la Festa della Donna!!!”). 

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SCRIVERE. E FARSI LEGGERE.

 

Quando arriva il fatidico momento della scrittura, cosa scriviamo?

 

In agenzia sviluppiamo concept integrati, dall’ideazione alla realizzazione di contenuti testuali per i piani editoriali. Oggi non parliamo più solo di annunci stampa: il digital copywriting comprende una marea di contenuti. Dove c’è testo, c’è potenzialmente copy: didascalie di post sui social media, stories, newsletter, direct email, titoli di articoli, script, banner, presentazioni, interviste, blog, etc. Tutto intorno a noi è copy! 
  • Ed eccoci alla fatidica domanda: è meglio scrivere tanto o poco?

Dipende dal canale, dal formato (sito, social media, email…) e dalla fase del customer journey in cui si trova l’utente. Per esempio, se non ti conosce, essere diretti è meglio; mentre, in fase di conversione, essere prolissi serve a convincere il consumatore. In generale, “corto” è più faticoso da scrivere e meno da leggere.

  • Come si capisce se le persone leggono? E se il contenuto funziona? 

C’è il rischio di passare ore ad ascoltare, studiare e scrivere e poi nessuno legge. C’è un trucco per scoprirlo: le Call-To-Action servono anche a capire se quello che abbiamo scritto è stato letto. Per questo le parole scritte dal copywriter devono sempre avere un obiettivo preciso e includere un invito all’azione tracciabile. Inoltre, l’attività di SEO (l’ottimizzazione per motori di ricerca) è fondamentale per essere trovati sul web, prima ancora di essere letti. 

  • Qual è la più grande difficoltà da affrontare? 

Scrivere per un pubblico che non conosciamo. Per superare il timore del foglio bianco, studiamo il punto di forza del brand. B2B o B2C non fa così tanta differenza: scriviamo sempre per le persone. Per questo, la scrittura deve essere umana. 

Oggi i copywriter sono sempre di più chiamati a creare coerenza tra quello che i brand dicono di essere, quello che fanno e quello che chiedono di scrivere. Per farlo noi partiamo dalla strategia (sì, anche in questo caso!). Ascoltare, studiare e scrivere per emozionare, coinvolgere e creare valore per il tuo brand e per le persone che leggono.

Fonti

1 E. Marciello, Scrittura ribelle. Anti manuale di scrittura creativa, Hoepli (2021)

2 Storia raccontata da Maria Popova sul blog “The Marginalian”.
3 P. Barbella, Confessioni di una macchina per scrivere, Liguori editore (2008).